Tutto è vero, ma nulla lo è (5^B Comm. Grafico)

Pubblicato il 9 Aprile 2016

Tutto è vero, ma nulla lo è

Variazioni sulla “follia” e la “tortura” in Luigi Pirandello

a cura della classe 5B COMM.

Febbraio 2016

Come nell’opera “Così è (se vi pare)”, anche in “Enrico IV” c’è un rovesciamento della logica comune: il vero pazzo non è il protagonista (che all’insaputa degli altri è rinsavito), ma le persone che accondiscendono a fingere di vivere nel medioevo, soprattutto quando, ad un certo punto, decidono di studiare il suo ‘caso’ e di fargli tornare la memoria attraverso una messinscena che, anche qui, trasforma il suo palazzo in una “stanza della tortura”.

Pertanto, quello di Pirandello è uno sguardo apertamente critico nei confronti della società borghese del suo tempo, che poggia il suo equilibrio su certezze fasulle, senza accorgersi del baratro di sciocca ingenuità, di insensatezza quando non di vera e propria crudeltà, che si porta dentro. [Antonio Del Vecchio]

La follia, o ciò che sembra esserlo, è una tortura: “Enrico IV” e “Così è (se vi pare)” possono essere interpretate come una dettagliata analisi di questo concetto. In entrambe le opere la pazzia è al centro del palcoscenico, così come il mistero che aleggia sopra di essa sembra nascondere la verità, altro tema caro all’Autore. Viene apertamente esplicitato un chiaro soggettivismo che fa da perno al giudizio dell’uomo, ma che non è sufficiente a garantire la consapevolezza del vero.

La tortura è quella nei confronti del folle “Enrico IV”, al quale viene occultata la verità, oppure quella di chi gli sta intorno, che subisce, a conti fatti, la stessa pena?

In altri termini: la “stanza della tortura” in “Così è (se vi pare)” riserva sofferenze solo alla signora Frola e al signor Ponza – costretti a subire un’inquisizione dopo aver, forse, sofferto le conseguenze di un terremoto che ha sottratto loro tutto –, o anche ad Agazzi e Laudisi, che si vedono sottratta, invece, davanti agli occhi ciò che a loro pare la verità?

Quella di Pirandello potrebbe essere una visione tuttora valida. Le verità assolute non esistono – o non sono alla portata dell’uomo –, e la follia è attuale e presente: ci si avvicina ad essa cercando o credendo di capire la realtà, che è un oceano infinito rispetto alla piccola mente umana.

Ma anche i folli possiedono il loro mare. E le acque, nel frattempo, si mescolano. [Paul Rodriguez]

Per una donna, in “Enrico IV” c’è un uomo che muore. Per una donna, in “Così è (se vi pare)” c’è un dramma in atto. Paradossalmente, in entrambe vi è l’amore al centro dell’azione. Eppure, la figura femminile in tutte e due le opere manca, è un “fantasma”: in “Enrico IV” è assente perché stata portata via, conquistata da un altro; in “Così è (se vi pare)” è stata “rubata”, forse dalla morte, forse dal destino che le viene costruito intorno.

Si capisce che Pirandello ha uno sguardo severo intriso di stereotipi verso la classe borghese: bella, colorata, divertente ma finta, inesistente, infantile. [Marco Treccani]

Le opere di Pirandello “Enrico IV” e “Così è (se vi pare)” hanno molto in comune. In entrambe appare il tema della follia, scelta per fuggire dalla realtà, e del rapporto tra personaggio e uomo e tra finzione e veridicità.

Nella prima, il protagonista decide di mascherarsi da Enrico IV per isolarsi dal mondo reale; nella seconda, invece, il signor Ponza e la signora Frola inizialmente si accusano di pazzia l’un l’altra, poi si lasciano credere tali per pietà reciproca, in modo da non svelare la cosiddetta “verità”. I protagonisti delle due rappresentazioni, quindi, vengono visti diversamente da quello che sono, come se fossero dei fantasmi.

Pirandello critica la società borghese del suo tempo, che ingenuamente (o forse no?), si crea delle false certezze, su falsi problemi, per arrivare ad una soluzione univoca che possa soddisfare la mentalità comune. Invece la realtà non è oggettiva, ma è come la si crede. [Giulia Faita]

Nelle due opere c’è un evidente tratto di “pazzia” che le accomuna.

In “Così è (se vi pare)” lo spettatore rimane sempre nel dubbio se credere nella verità di uno o dell’altro. Quindi, insieme ai personaggi, anche noi diventiamo pazzi nel cercare di darci una risposta.

Invece in “Enrico IV” la pazzia è esplicitata chiaramente, viene come “passata” da un personaggio all’altro. Inizialmente è Enrico IV, o meglio, quello che lo impersona, a diventare realmente pazzo; ma non è da meno anche il nipote, Di Nolli, che mette in scena un vero e proprio Medioevo per seguire la malattia dello zio; e così anche, vent’anni dopo, Matilde, Belcredi e lo psichiatra che vogliono far rinsavire il protagonista.

Pirandello critica la società in cui vive: una società ingenua, insensata, crudele e basata su certezze false, perennemente alla ricerca di una verità – anche inventata, o estorta con forza e cattiveria – pur di dare pace al proprio animo. [Metea Zaina]

Così è (se vi pare)” e “Enrico IV” hanno una cosa in comune: la pazzia.

In “Enrico IV” vediamo il personaggio principale che, dopo aver perso la memoria, si convince di essere veramente un re e di vivere nel medioevo: le persone che gli stanno accanto si “costringono” ad assecondare quella pazzia, divenendo loro stessi dei pazzi e obbligandolo, una volta rinsavito dalla sua follia, a mentire, negando di essere guarito e continuando a vivere in quell’eterna menzogna.

In “Così è (se vi pare)” la pazzia è nella realtà stessa, cioè non importa come la realtà è, ma come la si vede. Infatti è il lettore o spettatore stesso a dovere decidere il finale dell’opera, che potrebbe essere definita “aperta”.

Paradossalmente, tuttavia, gli ambienti dove i personaggi agiscono sono chiusi, e costituiscono delle vere e proprie “stanze della tortura”, perché i protagonisti sono bloccati in una vita opprimente, grigia, monotona e senza via di fuga, basata su una quotidianità falsa e senza certezze, che da un momento all’altro può sgretolarsi e scomparire per sempre: come accade a causa del terremoto ricordato in “Così è (se vi pare)”, o per la frana del 1903 nella miniera di zolfo della famiglia di Pirandello.

L’unico modo per rompere questa finta vita borghese è rifugiarsi nella parte irrazionale che ognuno di noi possiede. Quella pazzia che porta in un mondo parallelo, e che fa sognare un’altra vita più semplice e meno opprimente, anche se assurda e fasulla. [Mariadomenica Settineri]


Nelle
opere di Pirandello il lettore, immerso negli eventi, si trova a dover mettere in dubbio la sua idea ad ogni battuta, perché nulla è come sembra, e tutto può essere messo in discussione. Perciò “stanza della tortura” può essere definita anche la mente di chi sta leggendo. Forse l’essere umano è predisposto a ingannare e ad essere ingannato, basta giocare d’astuzia: “Voi credete – sostiene Enrico IV – che sia io il pazzo, e invece no, lo siete voi, che ogni giorno fingete di essere ottocento anni addietro solo per far contento me”. [Elisa Franceschetti]

Pirandello basa entrambe le sue opere su dei temi principali.

Il primo è la verità, che appare relativa, variabile a seconda del punto di vista dei personaggi. I “dati di fatto” non sono più sinonimo di certezza, ma al contrario sembrano poco chiari e, come nel finale di “Così è (se vi pare)”, diventano così soggettivi che non ne esiste una sola versione: “Vi vedo così affannati a cercar di sapere chi sono gli altri e le cose come sono – accusa con sarcasmo l’alter ego dello scrittore, Lamberto Laudisi –, quasi che gli altri e le cose per se stessi fossero così o così”.

La frase conclusiva dell’opera, pronunciata dalla signora Ponza: “Io sono colei che mi si crede” si riferisce non solo a lei stessa, ma anche alla verità in generale: il personaggio è una sorta di personificazione che rimane all’oscuro per l’intera rappresentazione.

Anche il ribaltamento della situazione in “Enrico IV” è un chiaro esempio della mutabilità del reale: “Perché guai, guai se non vi tenete forte a ciò che vi par vero oggi, a ciò che vi parrà vero domani, anche se sia l’opposto di ciò che vi pareva vero jeri!”.

Altro tema rilevante è la pazzia, che porta, insieme al voler avere una risposta ad ogni costo, ad un continuo interrogatorio e a una forte pressione da parte di un personaggio sull’altro, che può essere riconducibile ad una sorta di “tortura”.

Pirandello ci vuole comunicare la ricchezza e la varietà che i molteplici punti di vista possono attribuire alla realtà. In forte contraddizione con la nuova società di massa, che tende a ridurre tutto ad un’unica soluzione, l’autore sostiene con fermezza e ironia – a costo di sentirsi un “escluso” – la sola “verità” possibile: tutto è vero, ma nulla lo è. [Emanuela Ghirardi]