Io morto per dovere (di Sollaku Melisa, terzo posto al premio Mancini )

Pubblicato il 19 Dicembre 2016

“IO MORTO PER DOVERE”

Sollaku Melisa,

3°A settore chimico sanitario 

 

”Vittima del dovere”: ecco come viene considerato Roberto Mancini.
Uno che non conosce la sua storia non potrà mai capire il vero senso di questa espressione, la considererà strana, forse perché è troppo sintetica per rendere la sua figura.
A mio parere però Roberto non è stato solo vittima del dovere ma anche dei suoi stessi valori, che l’hanno portato ad arrivare a limiti estremi, di un popolo indifferente alla giustizia e interessato unicamente al denaro e dei corrotti che hanno sempre cercato di ostacolarlo e sottometterlo.
Durante tutta la sua vita ha dovuto lottare contro un solo e unico grande nemico: l’avidità dell’essere umano, ovvero un pozzo senza fondo.
Sono proprio le persone avide che hanno rovinato la Campania, trasformandola nella “terra dei fuochi” con il lor bisogno di arricchirsi a discapito del bene comune e della vita degli altri.
Ascoltando e leggendo la storia di Roberto mi è venuta subito in mente una frase di Charles Bukowski: ”la tua vita è la tua vita. Non lasciare che le batoste la sbattano nella cantina dell’arrendevolezza. Stai in guardia, ci sono delle vie d’uscita. Da qualche parte c’è la luce. Forse non sarà una grande luce ma vince sulle tenebre, stai in guardia. Gli dei ti offrono delle soluzioni, riconoscile. Afferrale. Non puoi sconfiggere la morte ma puoi sconfiggere la morte in vita, qualche volta. E più lo farai e più di frequente la luce ci sarà. La tua vita è la tua vita.”
Ogni parola di questo discorso mi sembra rappresentare l’essere di Roberto e le sue azioni.
Sapeva che la sua vita era solo ed esclusivamente sua e che nessuno poteva condizionarla.
Cercava una luce ovunque, anche nei luoghi più bui e corrotti e, questa è la cosa più bella, riusciva sempre e comunque a trovarla.
La morte l’ha strappato troppo in fretta dalla sua famiglia e dal suo lavoro, come del resto essa fa con tutti i più grandi che si sacrificano al cento percento per una causa, ma lui fino all’ultimo si è sacrificato con la consapevolezza totale delle sue azioni.
Sapeva benissimo cosa si sarebbe lasciato indietro, chi avrebbe abbandonato e in quanti sarebbero stati felici di essersi finalmente liberati di lui, ma sapeva anche quante famiglie avrebbe salvato denunciando i colpevoli, di quante persone avrebbero finalmente avuto giustizia e di quante vite umane l’avrebbero ringraziato.
Non voleva che altri, vivendo in quella terra, morissero del suo stesso cancro.
Non voleva darla vinta ai cattivi per nessuna ragione al mondo e forse proprio questo enorme bisogno di giustizia l’ha reso un po’ cieco. Penso, infatti, che egli si sia dedicato così tanto al bene comune da sottovalutare quello della sua famiglia. In pochi si sarebbero sacrificati come ha fatto lui con una moglie e una figlia che lo aspettavano a casa tutte le sere.
Secondo me un errore di Roberto è stato questo: mettere la sua passione e le sue indagini prima di ogni cosa, davanti a una sera sul divano con Monika, al giorno della laurea di sua figlia, all’emozione di vedere la sua bambina in abito da sposa o ai brividi che si provano quando tieni in braccio per la prima volta il tuo nipotino.
Roberto forse cercava di non pensare a tutti questi dettagli, per paura di fare un passo indietro, e solo elencando tutto ciò a cui ha dovuto rinunciare ci si rende conto di quanto questo singolo individuo ha dovuto sacrificare per la sua patria e la giustizia.
Ammiro molto anche Monika e sua figlia per aver accettato e appoggiato Roberto nelle sue folli decisioni un po’ suicide che ha voluto portare avanti nonostante il tumore: in pochi l’avrebbero fatto.
È vero che, se lui si fosse comportato come ogni singolo cittadino, non solo d’Italia ma anche di qualsiasi posto del mondo, limitandosi a fare solo ed esclusivamente il suo lavoro, ora sarebbe ancora vivo, ma è anche vero che senza il suo enorme sacrificio “la terra dei fuochi” oggi non avrebbe ancora giustizia.
No so bene cosa abbia provocato un evoluzione in Roberto nel corso degli anni, trasformandolo dal liceale ribelle e rivoluzionario, sempre in piazza pronto a fare casino, nel poliziotto carismatico tutto d’un pezzo e totalmente devoto al suo lavoro.
Forse il cambiamento è avvenuto solo in apparenza perché in realtà dentro di sè lui è rimasto il solito rivoluzionario, ha solo dovuto mutare esternamente per ottenere gli stessi risultati in un mondo che ci accetta per come siamo.
I suoi vecchi compagni di scuola con cui partecipava agli scioperi forse lo giudicheranno per questo, considerandolo incoerente.
Io invece lo considero umano e giusto, perché ritengo naturale mutare per uno scopo.
Si è adattato per far arrivare la sua voce, perché si è reso conto che le sue urla in piazza insieme a dei ragazzini potevano fare poco ai piani alti, perché, ne sono convinta, è da dentro che si deve operare un cambiamento.
Se dovessi definire Roberto in una sola parola direi che è stato un uomo coraggioso, perciò grazie Roberto Mancini per aver auto coraggio e aver reso giustizia, non solo nella “terra dei fuochi” ma anche a molte persone.
Verrai sempre ricordato per questo.

 

Premio Mancini:

3° PREMIO ex aequo Sollaku Melisa

Istituto di Istruzione Superiore Statale “Camillo Golgi” – Brescia 

3°ex aequo Ratti Jennifer Verena

Istituto Tecnico Commerciale Statale “Abba Ballini” – Brescia

Buono Libreria Feltrinelli € 75,00

motivazione:

Le studentesse hanno espresso con fine partecipazione emotiva, in modalità diverse ma medesimo intento, il grande messaggio della storia della vita a della morte di un poliziotto che ha fatto della propria storia professionale una storia sociale.

Rilevano le particolari attenzioni dedicate alla vedova signora Mancini ed alla figlia quali “donne – coraggio” che non si sono arrese e non si arrendono al male avendo raccolto il testimone del marito e del padre che invece vorrebbero ancora qui ed in prima fila.

In dettaglio:

Jennifer ci parla di Roberto Mancini e della sua storia: il business dei rifiuti, la malattia dei bambini della terra dei fuochi, la sua lotta, il suo sacrificio in nome della legalità e per un mondo migliore e termina con la bellissima frase di Mancini stesso.

Il suo testamento: “Noi siamo pagati per garantire i diritti, per migliorare, nel nostro piccolo, il mondo che ci circonda, la vita delle persone”

Mentre nel testo di Melisa, c’è tutto il dramma interiore di un uomo che sa a quale rinuncia andrà incontro: una vita serena con la famiglia.

Melisa fa anche un salto temporale e ritroviamo un Mancini ragazzo, liceale ribelle e rivoluzionario, per poi riportarlo a noi nelle vesti di un uomo maturo e umanissimo, ma sempre pronto alla lotta fino al sacrificio, sostenuto fino alla fine dalla moglie e dalla figlia amatissime.